QUESITI SUL MOBBING
DOMANDE E RISPOSTE SUL MOBBING
dal sito www.mobbingdigenere.it
1)Sento sempre più parlare di mobbing, anche presso l'azienda in cui lavoro (settore industria con 43 dipendenti), ma non ho ancora capito cosa sia realmente. Cosa è il mobbing? Ad esempio è mobbing la violenza fisica del datore di lavoro su un apprendista?

Mobbing è un termine “tecnico” utilizzato per descrivere comportamenti persecutori che si sviluppano sul luogo di lavoro. Più propriamente si tratta di un insieme di atti e comportamenti posti in essere, ripetutamente nel tempo, dal datore di lavoro o dai superiori, ma anche dai colleghi di pari livello o subalterni, nei confronti di un soggetto designato, tali da porlo (questa è la finalità del mobbing) in una condizione di estremo disagio se non di sofferenza, caratterizzata da isolamento che può danneggiare l'integrità psico-fisica del lavoratore in modo transitorio o, nei casi più gravi, permanente, e spesso tale da indurlo alle dimissioni o da provocarne il licenziamento.
Il maltrattamento fisico può essere uno dei comportamenti con cui il mobbing si manifesta. Tuttavia l'esempio riportato in domanda, che fa probabilmente riferimento ad un caso di maltrattamenti apparso di recente sulla stampa nazionale e indicato come esempio di mobbing, non appare esserlo.
La violenza privata è un reato penale che può diventare mobbing solo se s'inserisce in un quadro di persecuzione non episodica e finalizzata a rendere impossibile la permanenza del lavoratore sul luogo di lavoro.


2)Sono una dipendente di banca e sono stata trasferita dalla sede centrale ad una sede secondaria e in un paese di provincia dove sono obbligata a svolgere mansioni inferiori (di cassiera). Ho saputo che al mio vecchio posto presso la sede centrale è stato trasferito un altro dipendente. Posso fare causa per mobbing?

Il caso succintamente descritto non appare sufficientemente dettagliato per una risposta definitiva.
Ciò che certamente ricorre nel caso di specie è una probabile ipotesi di demansionamento (assegnazione ad incarichi il cui esercizio non consente l'espletamento, l'uso e il perfezionamento delle nozioni, dell'esperienza e della perizia già acquisite nel proprio lavoro) con illegittimo trasferimento (non ricorrendo comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive). E' un comportamento tipico, previsto dall'art. 2103 del codice civile, che spesso ricorre anche in situazioni di mobbing.
Tuttavia, nel caso in esame, il quesito non riferisce né di particolari condizioni di sofferenza psicofisica né di ulteriori comportamenti che possano far ritenere, pur presumendone la lunga durata, una finalità intesa alla definitiva estromissione della lavoratrice dal luogo di lavoro.

3)Vivo in un ambiente di lavoro molto sgradevole ed ho la sensazione di essere diventato il parafulmine di tutti i problemi dei miei colleghi. Come faccio a capire se mi stanno o no facendo mobbing? Da quali comportamenti posso rendermene conto?

Quando suona il campanello d'allarme in caso di mobbing? Generalmente quando è troppo tardi. Non esiste prevenzione al mobbing, in quanto il caso concreto di mobbing viene materialmente alla luce solo da uno studio clinico e giuridico dei suoi effetti (ad esempio: il lavoratore, a causa di condotte mobbizzanti è entrato in depressione grave, essendo alla fine licenziato).
Per questo è importante riconoscerne i sintomi.
Capitano tutte insieme delle cose strane? Forse è il caso di preoccuparsi.
Tra i segnali premonitori più comuni:
• trasferimenti in stanza cieca o sovraffollata, o in solitudine nell'ultima stanza in fondo al corridoio;
• all'ingresso in una stanza la conversazione generale si interrompe improvvisamente o peggio ancora, un collega o un superiore parlano male proprio del nuovo entrato;
• si viene tenuti all'oscuro di notizie importanti per un corretto svolgimento delle proprie funzioni;
• si percepiscono voci malevole e infondate sul proprio conto;
• improvvisamente e/o ripetutamente vengono affidati incarichi inferiori alle proprie qualifiche o comunque estranei o lontani dalle proprie competenze;
• gli inviti a non protestare troppo vengono accompagnati da commenti sgradevoli del tipo "hai una famiglia e oggi non è facile trovare lavoro";
• si è sotto osservazione speciale (controllo di orari, telefonate, fotocopie,etc.);
• fioccano i rimproveri per delle piccolezze;
• improvvisa sparizione o rottura, senza sostituzione, di strumenti di lavoro (computer, telefoni, etc.).
• non viene data risposta alle richieste sia verbali che scritte;
• superiori o colleghi provocano per indurre a reagire in maniera eccessiva;
• si è puntualmente esclusi da feste aziendali o da altre attività sociali;
• si prendono in giro l'aspetto fisico o l'abbigliamento;
• tutte le proposte inerenti al lavoro vengono rifiutate e/o ridicolizzate.


4)Vorrei capire se sono stato vittima di mobbing. Esiste un elenco dei possibili comportamenti del mobbing?

Il mobbing è per propria natura un fenomeno sfuggente, perché si compone di condotte in continua evoluzione che nella maggior parte dei casi sono messe in atto in maniera non aperta. I comportamenti tipici, quelli più ricorrenti, sono tuttavia stati riepilogati in 5 categorie principali:
COMUNICAZIONE
• Limitare e interrompere la possibilità di esprimersi
• Urlare o rimproverare violentemente
• Criticare continuamente sul lavoro
• Criticare continuamente sulla sua vita privata
• Fare telefonate mute o di minaccia
• Minacciare verbalmente
• Minacciare per iscritto
• Rifiutare il contatto con gesti o sguardi scostanti
• Rifiutare il contatto con allusioni dirette
RELAZIONI SOCIALI
• Assenza di dialogo
• Trasferire la vittima in un ufficio lontano dai colleghi
• Proibire ai colleghi di dialogare con la vittima
• Comportarsi come se la vittima non esistesse
IMMAGINE SOCIALE
• Parlare alle spalle della vittima
• Spargere voci infondate
• Ridicolizzare la vittima con i colleghi
• Rivolgere accuse di essere malato di mente
• Tentare di convincere la vittima a sottoporsi a visita psicologica o psichiatrica
• Deridere un handicap o un difetto fisico
• Imitare il modo di parlare o di camminare
• Attaccare le idee politiche o religiose della vittima
• Ridicolizzare la vita privata della vittima
• Ridicolizzare la nazionalità della vittima
• Costringere a fare lavori umilianti
• Giudicare il lavoro in maniera sbagliata e offensiva
• Mettere in dubbio le decisioni della vittima
• Pronunciare parolacce o altre espressioni umilianti verso la vittima
• Formulare offerte sessuali, anche non verbali
VITA PROFESSIONALE E PRIVATA
• Non assegnare compiti da svolgere
• Togliere ogni tipo di attività lavorativa
• Assegnare compiti senza senso o giustificazione
• Assegnare compiti molto al di sotto della qualificazione professionale
• Assegnare sempre nuovi compiti lavorativi
• Assegnare compiti umilianti
• Assegnare compiti molto al di sopra delle capacità o qualificazioni, al fine di screditare la vittima
SALUTE
• Costringere a fare lavori che pregiudicano la salute
• Minacciare una violenza fisica
• Usare violenza fisica in modo leggero o pesante
• Causare danni per porre la vittima in situazione di svantaggio
• Causare danni fisici in casa o sul posto di lavoro
• Ricercare contatti fisici a scopo sessuale.

5)A quali conseguenze vado incontro se accuso i miei colleghi di mobbing ma poi non riesco a dimostrarlo?

Il caso prospettato si riferisce presumibilmente ad una ipotesi di mobbing “orizzontale” (comportamenti persecutori posti in essere deliberatamente e ripetutamente nel tempo dai colleghi di pari livello o anche da subalterni del lavoratore mobbizzato). L'accusa di mobbing, quando non provata, può dare luogo a conseguenze importanti per l'accusatore. Nel 2000 la Cassazione ha dichiarato legittimo il licenziamento di una lavoratrice che aveva accusato di mobbing il proprio datore di lavoro, senza poi riuscire a fornirne prova. Dunque è importantissimo avere una buona nozione di tutti i comportamenti teoricamente mobbizzanti al fine di prenderne buona nota e provvedersi di prove (documenti, testimonianze, supporti non cartacei) nel momento in cui si verificano per una loro successiva esibizione.

6)Ho un amico in forte difficoltà lavorativa. Quali consigli pratici posso dare ad una persona che si sente mobbizzata?

Come affrontare una situazione di mobbing? E' importante acquisire consapevolezza su cosa sta succedendo, sul perché e su quali reazioni adottare:
- il mobber è spesso (in specie quando il mobbing non sia determinato da precise scelte aziendali) una persona insicura del proprio ruolo e di intelligenza spesso inferiore a quella del mobbizzato, quindi può essere pericolosa perché in genere più furba e infida ;
- se non vi è sicurezza di avere prove certe su cui contare meglio non avventurarsi sul piano legale o delle pubbliche proteste;
- se non si può vincere con le vie legali, non aspettare di ammalarsi ma cercare un posto diverso e andarsene comunque (se la depressione è dietro l'angolo, presto i soldi che si guadagnano lavorando diventeranno inutili e sparirà anche la capacità di cercare qualcos'altro);
- cambiare posto di lavoro non è una sconfitta o una perdita ed è certo meglio che ammalarsi;
- non esiste persona di successo che non abbia incontrato e superato il "mobbing".

7) Ho 57 anni e lavoro come impiegato contabile in un'azienda privata. Da circa un anno è stato nominato un nuovo responsabile amministrativo che mi ha preso di punta. Ho il sospetto di essere stato messo sulla lista nera in vista di un prossimo licenziamento. Mi hanno detto che il mio è un caso di mobbing. Cosa posso fare?

Nella situazione descritta ricorrono alcuni elementi che possono costituire un'ipotesi di mobbing. Tuttavia una valutazione appropriata, qui impossibile, può essere svolta solo attraverso un esame ben più approfondito sia dei fatti che delle condizioni psicofisiche del lavoratore.
Da un punto di vista legale, appare essenziale la sollecita e quanto più completa raccolta di prove utili a dimostrare, all'occorrenza, sia l'intento persecutorio nella condotta del datore di lavoro sia i danni da ciò derivati.
Dunque, assoluta rilevanza alla redazione di un diario personale su cui annotare fatti, date e persone nonché alla raccolta preventiva di prove documentali (lettere, e-mail, comunicazioni interne, certificati medici e prescrizioni, ecc). Importanti anche le prove fotografiche, le registrazioni meccanografiche e fondamentale l'individuazione di testimoni (utili anche le testimonianze di congiunti e parenti prossimi).
E' bene sapere che, ad ogni buon conto, la valutazione della sussistenza o meno di un caso di mobbing necessita di accertamenti clinici di carattere sociologico e psicologico in assenza dei quali è impossibile dire con certezza se ricorra o meno un caso di mobbing.

8) A seguito di vari atteggiamenti maligni e di negazione dei miei diritti da parte di colleghi e superiori, che mi avevano causato uno stato di ansia e depressione, ho presentato le dimissioni. Tuttavia mi sono reso conto che questo era proprio ciò che i miei superiori desideravano e ora sono in una grave situazione economica. Posso chiedere i danni per il mobbing?

Il caso prospettato mostra elementi tipici del mobbing. L'attività persecutoria di accerchiamento, le conseguenze psicofisiche e l'estromissione dal lavoro.
Tuttavia, l'avvio di una causa per mobbing richiede un'analisi preventiva e molto particolareggiata sia dell'intera vicenda (nel caso in esame manca ad esempio qualsiasi riferimento all'estensione temporale dei comportamenti che alla gravità delle manifestazioni fisiopsichiche) che delle prove disponibili. In altri termini è molto difficile dimostrare che le dimissioni siano l'esito di un intento persecutorio.
Nel caso di specie appare comunque possibile chiedere al giudice l'annullamento delle dimissioni poiché presentate in base ad una parziale, temporanea incapacità d'intendere e volere e risultate poi estremamente pregiudizievoli.

9) E' vero che il risarcimento per un caso di mobbing è in genere maggiore rispetto a quello per un licenziamento illegittimo?

L'illegittimo licenziamento viene risarcito con la reintegrazione del lavoratore sul posto di lavoro e con il pagamento delle mensilità perdute.
Se il licenziamento costituisce l'esito di un caso di mobbing si aprono profili di risarcibilità ben più ampi, ma solo perché i danni patiti dal lavoratore sono molto più gravi.
Nel mobbing oltre ai beni materiali (danni patrimoniali) vengono colpiti beni immateriali (principalmente la salute, la qualità della vita, la personalità del lavoratore). Dunque si considereranno tipologie di danno non patrimoniale: il danno biologico, morale e il danno esistenziale, categoria quest'ultima di recente elaborazione giurisprudenziale.
Il maggiore risarcimento dipende dalle maggiori dimensioni del danno subito. Si tratta di un “quid pluris” che comporta oneri probatori molto maggiori. Il maggior danno si deve provare e non è per nulla facile.

10) Ho letto che, secondo alcuni, il mobbing è un fenomeno soggettivo. Cosa significa?

Secondo l'interpretazione del fenomeno operata dai maggiori esperti italiani, il mobbing è un'attività persecutoria che abbia però effettivamente causato gravi danni alla persona.
Se la stessa identica attività persecutoria ha provocato danni psicofisici in un soggetto, ma non ne ha causato alcuno in altro soggetto, nella prima ipotesi il caso potrebbe essere qualificato come mobbing, nella seconda ipotesi assolutamente no.
Per questo si dice che il fenomeno è soggettivo, poiché il caso di mobbing nasce dalla reazione del singolo soggetto a determinati eventi, reazione che può essere diversa a seconda della diversa sensibilità o reattività emotiva o fragilità psicologica.

11) Sto vivendo un periodo di estrema difficoltà. L'azienda per cui lavoro ha intenzione di mettermi in cassa integrazione, con l'obiettivo di trasferire all'estero la produzione, e questa situazione mi fa stare male. Il mio medico dice che si tratta di mobbing. E' vero?

Dal caso prospettato, salvo migliore approfondimento, non si ritiene che ricorra una ipotesi di mobbing.
Occorre infatti tenere presente che in ambito lavorativo esistono numerose situazioni, con i derivati disturbi, che nulla hanno a che vedere il mobbing. La messa in cassa integrazione per crisi aziendale, una fase di forte conflitto aziendale e tutta una serie di eventi analoghi che possono realizzarsi in ambito lavorativo, senza alcun elemento di intenzionale violenza psicologica , possono determinare una condizione di sofferenza, senza per questo essere inquadrati nelle patologie provocate dal mobbing.
L'intenzionale violenza psicologica può ricorrere ad esempio nel caso di emarginazione di un intero gruppo di lavoratori in una struttura isolata dal resto della fabbrica (caso Ilva di Taranto), ma occorre distinguere attentamente tra quelle situazioni che costituiscono un, pur doloroso, momento fisiologico della vita di un'azienda e quelle che invece non lo sono.

12) Il mobbing è un fenomeno che esiste solo nei luoghi di lavoro?

Mobbing è un termine dal significato convenzionale. Cioè, nulla toglie che comportamenti altamente persecutori, con identiche conseguenze sulla salute, possano essere messi in atto al di fuori del luogo di lavoro. Tuttavia il termine “mobbing”, da un punto di vista tecnico (sociale, psicologico e giuridico), è stato ideato per individuare uno specifico tipo di comportamenti persecutori, quelli che si svolgono sul luogo di lavoro. Dunque il mobbing, a causa del significato tecnico associato alla parola, esiste solo sul luogo di lavoro.
In caso contrario (come dice anche il maggior esperto di mobbing in Italia, Harald Ege) tutto diverrebbe Mobbing e perciò nulla sarebbe Mobbing.

13) Svolgo pratica presso uno studio professionale. Vi sono sentenze o casi di presunto mobbing in un ambito lavorativo professionale?

Nei casi portati all'attenzione dei giudici italiani non si registrano (per quanto noto) episodi nei quali fossero coinvolti liberi professionisti (commercialisti, avvocati, medici, architetti) e questo probabilmente perché, come già da altri esperti osservato al riguardo, nell'ambito delle professioni atteggiamenti di tipo persecutorio o d'intenzionale violenza psicologica, sono meno controllabili o censurati. Infatti per quello che attiene ai possibili rapporti gerarchici tra titolare dello studio e i dipendenti o i praticanti, atteggiamenti di violenza verbale o di critica dell'operato, vengono spesso interpretati come il manifestarsi dell'estro bizzarro e sanguigno del "maestro", anche perché il licenziamento può essere un'ottima risposta alla reazione di insubordinazione. In questo caso più complesso può essere il modo per far emergere azioni di mobbing, che pure possono verificarsi, anche in questi casi, proprio al fine di indebolire, allontanare il giovane collega o la dipendente.

14) Si parla sempre e solo del lavoratore mobbizzato ma mai delle aziende che talvolta sono costrette a praticare forme di pressione sui lavoratori per sopravvivere in un mercato caratterizzato dalla concorrenza sleale dei paesi emergenti. Non è forse vero che in Italia è impossibile licenziare?

Per dirla con parole altrui:
“Un lavoratore italiano può permettersi di essere inefficiente, incapace od assenteista. Le garanzie offerte dallo Statuto, dalla contrattazione e dall'ombrello sindacale sono di tale portata che le possibilità di licenziare un siffatto elemento sono vicino allo zero.”
Questa è la motivazione che in sede di giudizio risuona più spesso allorché viene contestata all'azienda la "mobbizzazione" di un dipendente.
Difficile contestare il fatto che talvolta questa è proprio la verità, anche se l'azienda ha sempre l'obbligo di rispettare le leggi e quando non lo fa ogni giustificazione risulta vana.
Più utile forse sarebbe svolgere alcune considerazioni sui danni che il mobbing provoca comunque all'azienda, per evidenziare la palese erroneità dello strumento da essa adottato:
- Il mobbing verticale è spesso messo in opera da dirigenti inadatti al ruolo che rivestono, o che comunque nutrono il timore di non essere all'altezza dei compiti da svolgere. Tali dirigenti hanno l'ovvio problema di non palesare questa reale o supposta deficienza e, da sempre, il sistema scelto per raggiungere lo scopo è quello di emarginare, mettere in ombra, in una parola, mobbizzare, il collaboratore capace e intelligente che possa, con la sua sola presenza efficiente, evidenziare l'incapacità a dirigere.
- Ai fini aziendali un tale meccanismo è nefasto in quanto questi dirigenti finiscono per circondarsi di collaboratori mediocri e servili, e si "liberano" di coloro che, per capacità, maggiormente potrebbero essere funzionali agli interessi dell'azienda, in quanto non funzionali ad interessi personali di autoaffermazione del dirigente incapace o semplicemente complessato.
- Svariate indagini amministrative hanno evidenziato che uno dei mezzi in possesso delle aziende per "stanare" il mobbing verticale dei suoi dirigenti è costituito dalla conta abnorme delle richieste di trasferimento o pensionamento anticipato provenienti da uno specifico settore dell'azienda. Inoltre, l'assegnazione clientelare degli incarichi dirigenziali, tanto in voga nelle amministrazioni pubbliche italiane, s'è dimostrata una pratica fonte di mobbing e, in generale, di sprechi.

15) Ho sentito dire che un mio ex collega ha avuto un risarcimento perché, per colpa del lavoro aveva avuto problemi anche in famiglia. Per quali danni si può chiedere il risarcimento in caso di mobbing?

I danni possono essere di quattro tipi:
- Danno patrimoniale: è la riduzione subita dal patrimonio del danneggiato in conseguenza dell'evento lesivo (le spese affrontate) o il mancato accrescimento del patrimonio del danneggiato conseguito allo stesso evento (il guadagno perso).
- Danno alla salute o danno biologico: si caratterizza nella lesione all'integrità psicofisica della persona (i famosi “punti d'invalidità permanente” o percentuali di invalidità temporanea che si liquidano anche a seguito degli incidenti stradali), a prescindere dalle conseguenze sulla capacità di lavoro o di guadagno.
- Danno morale: è il danno legato alla sofferenza derivante dall'atto illecito, dalla commissione del reato (il prezzo del dolore che in genere è legato a reati di natura penale).
- Danno esistenziale: è il danno causato dalla lesione alla qualità della vita e al diritto di estrinsecazione della personalità.
L'unico danno sempre presente nelle ipotesi di mobbing è quello esistenziale, mentre gli altri tre tipi di danno sono solo eventuali e ricorrenti a seconda delle circostanze in cui si manifestano i comportamenti del datore. Probabilmente a questo tipo di danno è collegato il risarcimento descritto nel quesito.

16) Ho fatto causa per mobbing ma il giudice ha detto che non era provata la lesione del diritto. Che cosa significa?

E' molto difficile provare un caso di mobbing. Oggi, in special modo nei giudici, si riscontra un'accentuata diffidenza verso domande di questo genere, poiché molti “improvvisati esperti” della materia, hanno utilizzato il termine con eccessiva ridondanza e spesso, troppo spesso, a sproposito.
Questo è il commento di un giudice in una recente sentenza: “Il contesto generale di "grida di al lupo", nel quale il concetto in esame risulta inflazionato e troppo spesso abusato, certo non aiuta ma questo non deve fare perdere all'interprete la capacità critica di individuare le caratteristiche tipiche del fenomeno in esame”.
Dunque, quando ci si rivolge ad un esperto, sarà buona regola richiedere e pretendere una specifica competenza e preparazione nella materia.
Ciò premesso, in relazione alla prova del mobbing va precisato che il lavoratore, in una causa per mobbing deve provare:
1) i comportamenti del datore di lavoro che siano stati lesivi del diritto;
2) i danni subiti dal lavoratore;
3) la consequenzialità tra comportamenti del datore e danni al lavoratore;
4) l'ammontare dei danni.
Nel caso di specie, probabilmente saranno stati provati i comportamenti del datore di lavoro da cui si facevano derivare i danni al lavoratore, ma non si è provato che tali comportamenti fossero effettivamente lesivi di un diritto.
In assenza di ulteriori ragguagli sul caso valga il caso di scuola secondo cui non è possibile, ad esempio, chiedere al giudice il risarcimento per i danni derivanti dal trasferimento del lavoratore in altra lontana sede operativa, se non si prova che tale decisione del datore era lesiva di un diritto (ad esempio trasferimento disposto non per necessità tecnico organizzative ma per finalità punitive).
O anche il caso del cassiere di banca che non prova che le ricorrenti rapine, da cui erano derivati i danni alla salute subiti, erano frutto di una mancata predisposizione di idonei sistemi d'allarme da parte della banca.

17) Sono entrata da poco in un nuovo contesto di lavoro, ma non riesco a fare amicizia, mi sento esclusa dalle relazioni..certo i miei colleghi si conoscono da più tempo…ma mi sembra di essere guardata con distacco e sospetto…inizio a preoccuparmi di non essere ben accetta…
Sappiamo che le azioni di mobbing si realizzano in diversi modi: più espliciti e diretti come le aggressioni verbali e in modo silenzioso e subdolo con l'esclusione e l'isolamento dal gruppo. Però prima di parlare di azioni mobizzanti bisogna aver chiara la frequenza e la durata. Entrare in un nuovo contesto richiede un tempo fisiologico di adattamento per una reciproca conoscenza e stabilire un rapporto di fiducia.

18) Sto attraversando un momento molto difficile in ambito lavorativo, da quando è cambiato il capoufficio mi sembra di dover ricominciare tutto daccapo…non è mai soddisfatto del mio lavoro, mi tratta come un'incompetente, mi fa sentire incapace e inadeguata…tanto che ora provo costantemente un senso di insicurezza, controllo mille volte quello che faccio, come se non bastasse non riesco a riposare bene, faccio fatica ad addormentarmi o mi sveglio all'improvviso durante la notte…

la situazione lavorativa e i sintomi psicosomatici riportati così descritti sono i primi segnali importanti di una situazione stressante … per fortuna il nostro organismo invia dei campanelli di allarme che devono essere considerati con attenzione per evitare che la condizione psicofisica possa ulteriormente peggiorare..
esiste il mobbing a danno del superiore da parte dei suoi dipendenti?
questo tipo viene definito mobbing dal basso: è una sorta di ammutinamento collettivo che mira a mettere in discussione l'autorità del capo e si basa sulla forza che il discredito di più persone può avere a danno di uno solo, anche se questo ricopre una posizione gerarchica più elevata.

19)Prima pensavo di dovermi preoccupare solo del lavoro, invece adesso torno a casa e mi sento escluso dalle decisioni, come se anche in casa facessero quello che fanno i mie colleghi..ma non posso sfogarmi neppure con la mia famiglia?

spesso la famiglia è una preziosa risorsa che aiuta a reagire alla situazioni stressanti perché fa da contenitore alle ansie, alle frustrazioni, alle preoccupazioni, però a lungo andare si rischia di logorare anche queste energie e di permettere all'azione distruttiva del mobbing di ricadere sulla vita privata, riversando la rabbia e la frustrazione proprio sulla famiglia, che alla fine non riesce più ad aiutare in modo adeguato...è utile allora chiedere un aiuto esterno per salvaguardare la sfera privata e personale e non aggravare una situazione già difficile e dolorosa.

20) Perché è così difficile riconoscere e accettare situazioni di “mobbing”?
Il mobbing in ambito organizzativo si presenta spesso in modo inaspettato tramite mezzi subdoli e inspiegabili tanto che la persona stessa ha difficoltà nel mettere in relazione alcuni eventi con il suo stato d'animo. In genere, sono i sintomi fisici ad attirare l'attenzione su uno stato di malessere generale (per esempio, l'insonnia, il mal di testa, difficoltà di digestione o concentrazione) ma non vengono messi in relazione con i rimproveri gratuiti, le maldicenze o le mansioni che la persona si trova a svolgere. Si aggiunga, poi, la difficoltà nel produrre prove oggettive e dimostrare la relazione temporale tra comparsa dei primi sintomi e cambiamenti lavorativi. La prima reazione è, in genere, quella di attribuirsi la colpa o analizzare il proprio comportamento (“Dove ho sbagliato?” “Non sono capace di…” “Sono io che mi sbaglio”) e solo in un secondo momento compare un senso di ingiustizia (“Non me lo merito, dopo tutti questi anni…..dopo quello che ho fatto…”) e impotenza (“Qualsiasi cosa faccio non va bene….è inutile provare”). Questi sono alcuni dei motivi per cui il problema viene riconosciuto solo quando è troppo tardi mentre sarebbe più utile riconoscere in tempo il disagio lavorativo e non accettarlo passivamente. Non tutti, poi, reagiscono allo stesso modo e alla stessa quantità di stress per questo è importante una valutazione plurispecialistica che tenga conto degli aspetti medici, psicologici, giuridici e medico-legali. Ricordiamo, inoltre, che ci sono dei rischi connessi ad una denuncia non provata di mobbing: esemplare è stato il recente ammonimento della Suprema Corte nella famosa sentenza n. 143/2000, per cui “Il comportamento del lavoratore che - mediante una lettera di diffida comunicata alla dirigenza aziendale e divulgata a mezzo stampa - rivolga al capo del personale accuse, poi non provate, di atteggiamenti persecutori nei suoi confronti, può configurare, in base ad una valutazione rimessa al giudice di merito incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata, un fatto di gravità tale da vulnerare il rapporto di fiducia esistente tra le parti e da legittimare, quindi, il licenziamento per giusta causa ex art. 2119 c.c.”. L'importanza delle prove che si riesce a fornire è fondamentale (es. testimonianze di colleghi o familiari, documentazione scritta datata e/o firmata, documentazioni mediche, ricostruzione storica e dettagliata degli eventi, eventuali perizie mediche) per sostenere una causa per danno da mobbing.

21) Ci sono culture organizzative più a rischio di mobbing?

Se per “cultura organizzativa” intendiamo degli “specifici modelli di comportamento, di essere e di relazionarsi con gli altri che caratterizzano tutti i membri di una organizzazione” (M. Bellotto, G. Trentini, 1992) si possono identificare delle macrotipologie di culture organizzative. Il modello proposto da Bellotto e Trentini identifica quattro fondamentali tipologie sulla base della definizione di 2 assi fondamentali che si intersecano tra loro. Un primo asse, di ordine valoriale affettivo, è costituito da due polarità in base agli aspetti di “differenza/uguaglianza” e un secondo asse, di ordine relazionale evolutivo nei termini di “isolamento/ partecipazione” (v. schema allegato). Ci sono, dunque, contesti organizzativi dove l'eguaglianza è un valore riconosciuto, condiviso e perseguito: eguaglianza di persone, di ruoli, di status, di responsabilità, ecc. Le differenze tra i membri tendono ad essere percepite come una “ingiustizia” o una minaccia e tendono ad essere negate o risolte (Cultura familiaristico-materna). C'è un alto senso di fedeltà e appartenenza, partecipare vuol dire dividere equamente. Al contrario ci sono contesti organizzativi dove le differenze sono un valore riconosciuto: differenze di capacità personali, di ruoli, di status, di responsabilità, ecc. L'eguaglianza tende ad essere percepita come ingiustizia e viene confinata nella dimensione non lavorativa. Partecipare, in questo caso, vuol dire far ciascuno la propria parte e dividere secondo un criterio inerente i risultati (Cultura tecnocratica-paterna). L'asse isolamento/partecipazione definisce quei contesti in cui il livello di socializzazione varia dal completo isolamento (rapporti tra colleghi scarsi, emozioni, affetti e soggettività non vengono espressi, c'è una notevole ansia e tensione relativa ai rapporti interpersonali, l'obiettivo è produrre nel minor tempo possibile) nella cultura normativo-burocratica alla partecipazione tra persone, ruoli e funzioni (alto livello di socializzazione ed espressività, con una tendenza al prevalere della cultura di gruppo). La cultura permissivo-individualista pone enfasi sui diritti e sulle intenzioni di ciascuno, il valore primario è l'indipendenza: il clima organizzativo sembra improntatola sentimenti di estraneità, di diffidenza aliena e di indifferenza. Ora, pochi sono gli studi che verificano la correlazione tra una cultura organizzativa e la presenza di mobbing, dovuta soprattutto ad una difficoltà nell'osservazione ed analisi all'interno delle aziende (spesso, le persone che subiscono vessazioni in ambito lavorativo si rivolgono all'esterno dell'azienda). Sicuramente, possono essere spunto di riflessione per identificare una maggiore vulnerabilità di alcune culture organizzative: l'isolamento e l'individualismo, l'elevata competizione tra colleghi, espongono la persona a maggiori rischi in caso di mobbing mentre la partecipazione emotivo/affettiva può essere un elemento di protezione.

22) Esistono delle differenze culturali nel mobbing?

Le situazioni create dal meccanismo di mobbing sono le più diverse ma seguono un percorso abbastanza tipico. Tuttavia questo percorso risente del contesto socio-culturale in cui avviene. In particolare lo stesso Ege sottolinea delle caratteristiche tipiche della cultura organizzativa italiana che non si ritrovano in altri stati: all'estero è più tipico e diffuso il mobbing che riflette problemi di rapporti interpersonali, tra capo e subordinati e viceversa mentre in Italia è presente una regolamentazione dei rapporti di lavoro più rigidi. Inoltre, un fenomeno tipicamente italiano è quello del “doppio mobbing” in cui la pressione viene esercitata al lavoro ma anche in famiglia (H. Ege, 2003). Rispetto ad altre realtà estere la famiglia ha un ruolo particolare in Italia: è una realtà più presente, giudicante e protettiva ma proprio per questo più condizionante e penalizzante. Al punto che spesso i familiari non capiscono cosa sta succedendo e finiscono per giudicare o trincerarsi in un “Questo è il mondo del lavoro. Ti devi abituare” o “Smettila di fare storie inutili”. In particolare, sono comuni situazioni di donne poste davanti alla scelta di accettare o no alcune condizioni lavorative che, non trovando sostegno in famiglia (es. “Decidi tu, è la tua vita”) finiscono per rifiutare l'offerta, rinunciare all'obiettivo lavorativo e sentirsi in colpa per non essere state sufficientemente “pronte” o “furbe”.

23) Si può parlare di mobbing nei confronti degli immigrati?
L'esperienza migratoria ha delle caratteristiche peculiari: l'abbandono della propria terra d'origine, dei familiari e della propria cultura, l'arrivo in un paese straniero e l'inserimento in un nuovo contesto linguistico e socio-culturale richiedono tempo ed adattabilità. Spesso, è un processo lungo e pieno di ostacoli e la possibilità di un lavoro diventa fondamentale per la regolarizzazione (permesso di soggiorno) e l'indipendenza economica. Se si aggiunge un maggiore isolamento sociale, la difficoltà nella comprensione della lingua e la difficoltà nel fare denuncia in un contesto sociale di nuova accoglienza, vediamo come l'esperienza di un ambiente lavorativo vessatorio possa essere molto più complessa. Una recente ricerca condotta in Italia sull'integrazione sociale degli albanesi (Melchionda, 2003) mette in luce come una discriminazione informale degli immigrati nei luoghi di lavoro diventi più aperta e dichiarata nella società. Gli stereotipi ed i pregiudizi che riguardano tutti gli extracomunitari sono alimentati da un circuito di costruzione sociale dell'emergenza continua, dalla stampa e dai mass media. Spesso l'immigrato in Italia, non vede riconosciuto il suo titolo di studio e si trova a svolgere mansioni ben inferiori e dequalificanti rispetto alla sua qualifica e formazione professionale. In alcuni casi, la discriminazione assume forme di mobbing verticale o orizzontale quando l'intenzione vessatoria si manifesta con connotazione culturale. Eppure, in base al Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216 "Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro" sappiamo che “per principio di parita' di trattamento si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della religione, delle convinzioni personali, degli handicap, dell'eta' o dell'orientamento sessuale. Tale principio comporta che non sia praticata alcuna discriminazione diretta o indiretta, così come di seguito definite: a) discriminazione diretta quando, per religione, per convinzioni personali, per handicap, per età o per orientamento sessuale, una persona e' trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una situazione analoga; b) discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare eta' o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone.” “Sono, altresi', considerate come discriminazioni, ai sensi del comma 1, anche le molestie ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per uno dei motivi di cui all'articolo 1, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.” Facendo chiaro riferimento al mobbing. Per chi volesse approfondire questo tema, consiglio di visitare il link HYPERLINK "http://www.alef-fvg.it" www.alef-fvg.it e in particolare il “Progetto di formazione e informazione antinfortunistica per lavoratori stranieri e migranti di ritorno, riconosciuto ad alto valore sociale dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia”.

24) C'è una correlazione tra mobbing e disturbi da “spleen”?
Il termine inglese “spleen” vuol dire milza e, a volte, viene utilizzato per identificare quell'insieme di sintomi fisici collegati all'ipocondria. Questo disturbo è caratterizzato da “una preoccupazione legata alla paura di avere, oppure alla convinzione di avere, una grave malattia, basata sulla errata interpretazione di uno o più segni o sintomi fisici” (DSM IV-R pp. 541), paura che persiste nonostante le rassicurazioni mediche e gli esami clinici negativi (es. “Ho sempre mal di testa, ho una malattia grave”). Quindi, l'attenzione è concentrata sul corpo e la persona dedica gran parte del suo tempo al controllo/verifica del suo stato di salute. Nei disturbi da disagio lavorativo, pur essendoci una sovrapposizione di sintomi, la persona concentra i suoi pensieri negativi sull'ambiente di lavoro e può evitare i luoghi, attività o persone che sono ad esso collegati. Possono essere presenti strategie di gestione dello stress poco adeguate, come comportamenti diversivi, “per non pensarci” o “per dimenticare” (es. abuso di alcool, disturbi del sonno e dell'alimentazione, iperattività fisica). In particolare le donne tendono a reagire alla violenza lavorativa con un aumento dell'attività, con la speranza di riuscire a giustificarsi o dimostrare di essere efficaci. Quindi, sostanzialmente sono due patologie diverse e non sovrapponibili.

25) Come faccio a rispondere a un datore di lavoro aggressivo e vessatorio?

L'aggressione può essere agita a livello verbale (con rimproveri, minacce, richieste contraddittorie..), non verbale (con silenzi, rifiuti e isolamento) o comportamentale (con spostamenti d'ufficio, difficoltà nel reperire strumenti necessari per il lavoro, cambiamenti di turni e orari..etc..). Le strategie difensive più immediate sono l'attacco o la fuga, ma sono entrambe strategie errate perché aumentano il conflitto esacerbandolo la prima o lasciando il campo libero all'aggressore la seconda. Harald Ege (Mobbing, conoscerlo per vincerlo, Franco Angeli - 2003) identifica una serie di tecniche che hanno l'obiettivo lasciar cadere l'attacco nel vuoto e smorzarne la carica emotiva. Le definisce “Tecniche di autodifesa verbale” perché vengono utilizzate per difendersi e non per contrattaccare, e sono più o meno efficaci a seconda dei contesti e delle persone. Ne cito un elenco ripreso dalla descrizione di Ege (pp.126- 129):
1. Il gesto senza parole: restare zitti e rispondere all'attacco con un semplice gesto: per esempio scrollare le spalle, fare un cenno col capo sorridendo come si fa per salutare, osservare l'aggressore in maniera curiosa come se fosse una bestia rara, sorridere tra sé e sé, scrivere le parole pronunciate dall'altro su un foglio, fare un bei respiro. Dopo il gesto, si volta pagina e si ritorna al lavoro come se non fosse successo nulla. Questa tecnica consente di rispondere senza dover ricorrere alle parole e risparmiando così energia.
2. Saltare di palo in frasca: non rispondere all'attacco e cambiare apposita-mente discorso. Ad un attacco del tipo: "Ma si può sapere che le è venuto in mente? Questa procedura è completamente sbagliata!", si può rispondere,per esempio: "Adesso che ci penso: anche secondo lei non esiste più la mezza stagione? In autunno il freddo arriva sempre così presto!". Una con-siderazione sul tempo è un'ottima idea: più l'argomento è banale e insignificante meglio è. La difficoltà sta nel dover resistere alla foltissima tentazione di rispondere per le rime all'aggressore. Il vantaggio è quello di spiazzare completamente l'aggressore, che si aspetta chiaramente da noi una risposta a tono.
3. II proverbio fuori luogo: è una tecnica simile alla precedente, utile se la fantasia fa difetto: rispondere a un'osservazione o a un appunto con un proverbio o un modo di dire che non ha nulla a che vedere con la situa-zione Se per esempio l'attacco è "Questo è il colmo della sua stupidita! ,potremmo rispondere con "Moglie e buoi, dei paesi tuoi!" L'effetto e assicurato: infatti il cervello umano è programmato per procedere logicamente e l'aggressore sarà portato invariabilmente a cercare un filo logico nella risposta che ha ricevuto (che non deve esserci, attenzione!) e perderà così tempo e pazienza.
4. II commento di due sillabe: reagire alla provocazione con una risposta minima composta al massimo di due, tre sillabe pronunciate in modo staccato e strascicato: "sì-sì", "ah-sì", "di-ci?" o "davvero?" E la tecnica migliore per chi ha difficoltà a trovare le parole, inoltre non consuma energia, richie-dendo uno sforzo minimo. Fondamentale è non aggiungere assolutamente nient'altro e trattenersi dall'istinto di contrattaccare.
5. La ritirata strategica: se l'aggressore vuole avere ragione a tutti i costi e si prepara a lottare aspettandosi un nostro dissenso, possiamo spiazzarlo ce-dendo e dicendoci d'accordo con lui. Se egli, per esempio, attacca dicendoci"La tua giacca nuova è proprio brutta", possiamo rispondere "Se ti fa sentire meglio ti do ragione, è proprio brutta". Questa tecnica è adatta quando le critiche sono piuttosto dirette e fastidiose, ma attenzione ad utilizzarla solo se possiamo permettercelo senza correre rischi.
6 La contro-domanda: rispedire direttamente l'attacco al mittente, usando le stesse parole. Per esempio, se l'aggressore afferma: "In questo modo Lei ha fatto una grande sciocchezza", noi potremmo rispondere con "Cosa intende lei con la parola sciocchezza?" In questo modo la parola stessa contenente l'attacco è allontanata e il discorso è riportato bruscamente sul piano oggettivo. Si tratta, infatti, di una tecnica ideale per rintuzzare le critiche soggettive e personali.
7. La battuta: rispondere con umorismo significa non prendere sul serio l'aggressore, anzi, metterlo in ridicolo davanti agli altri. E una tecnica molto efficace se si è alla presenza di spettatori, ma richiede da parte nostra presenza di spirito e una certa dose di arguzia per inventarsi qualcosa di davvero ridicolo da opporre a un attacco verbale. Può essere utile tenersi a mente qualche battuta standard da sfoderare all'occorrenza.
8. II complimento imprevisto: si può mettere in scacco un aggressore ammirandolo o lodandolo quando meno se lo aspetta. Così a un "Hai di nuovo sbagliato tutto" si oppone un "Ammiro la tua intelligenza". Più esagerato e fuori luogo è il complimento più dura è la strategia; la scelta dipende dalla situazione: piccoli complimenti tengono a distanza l'aggressore, lodi esagerate diventano chiaramente ironiche e quindi vanno usate con maggiore prudenza.
9. II confronto risentito: la tecnica consiste nel ripetere chiaramente l'insulto, mostrarsi offesi ed esigere categoricamente delle scuse. Occorre mostrarsi determinati, divenire seri e inflessibili e far capire chiaramente all'altro che non abbiamo alcuna intenzione di essere trattati m questo modo. Cosi, se siamo attaccati con un insulto del tipo "Sei un incapace", potremo rispondere facendoci seri e affermando: "Con la parola incapace mi hai offeso; pretendo le tue scuse!" Questa tecnica è appropriata in ogni situazione in cui siamo offesi con insulti gratuiti o critiche soggettive. Possiamo reagire in questo modo (mai essere aggressivi, però) anche se il nostro avversario e un nostro superiore: nessuno può permettersi di offenderci!
10. La concessione parziale: annullare l'attacco mostrando di capire il punto di vista dell'altro, ma non cedere e rimanere fermamente sulle proprie posizio-ni- "Ho capito cosa intendi, ma non sono d'accordo"; "E comprensibile dal tuo punto di vista, ma io resto della mia idea". E un'ottima strategia da usare in caso di discussioni o trattative di una certa importanza.
11. La minaccia: se sappiamo che il mobber o l'aggressore è caratterialmente un ansioso o un vigliacco, può essere utile minacciarlo chiaramente di denunciarlo al superiore o di fargli causa (mai però minacciare di violenza fisica o di altre azioni illecite!). Naturalmente questa tecnica va utilizzata quando gli attacchi hanno superato un certo livello di gravità; inoltre è bene non utilizzarla troppo spesso ed essere pronti eventualmente a mettere davvero in atto la minaccia se l'altro persiste nell'attacco, altrimenti si rischia di perdere credibilità.
12. Lo sfogo: a volte allentare la tensione e fare uscire da noi tutta la rabbia che abbiamo accumulato diventa una necessità. Urlare, denunciare verbalmente l'aggressione, ribattere in modo arguto o diretto sono possibili reazioni che hanno il vantaggio di abbassare il nostro livello di aggressività, che altrimenti potrebbe straripare. Attenzione però a non ricorrere mai alla violenza fisica perché così si passa invariabilmente dalla parte del torto, e attenzione anche ad usare questa tecnica con molta cautela, poiché il rischio è che uno spettatore della scena potrebbe credere che siamo noi, e non l'altro, i veri aggressori. Quando usarla in modo relativamente sicuro, allora? In rapporti poco importanti, o che sono comunque destinati a durare poco.
13. Parlare chiaro: dire con poche parole che cosa ci fa male e cosa ci fa ar-rabbiare. Non si devono fare stupidi commenti, se si tratta di qualcosa di importante. Se è troppo per noi si esce dal flusso della discussione. Si deve mettere in parole cosa sta facendo l'altro (mi offende, mi fa arrabbiare, etc).
14. L 'analisi oggettiva: di fronte a una provocazione restare assolutamente imperturbati e concentrarsi esclusivamente sui fatti. Descriviamo oggettivamente e con molta calma la situazione di chi ci attacca: "Adesso sei arrabbiato", "Non ti piace il mio modo di lavorare", etc. Questa strategia è molto utile quando si vuole allontanare un giudizio o un attacco diretto dell'avversario. È molto efficiente in caso di critica soggettiva, colpevolizzazioni e manifestazioni di insoddisfazione nei nostri confronti.
15. La proposta sensata: se gli attacchi disturbano la comunicazione, possiamo provare a guidare la discussione in una direzione costruttiva proponendo all'avversario regole migliori di comportamento. "Così non va, propongo che ognuno lasci finire di parlare l'altro", "Gridando non arriveremo a nulla: perché non ragioniamo con calma?" Questa tecnica è indicata quando si vuole (o si deve) convivere pacificamente e a lungo con l'altro.
16. Richiedere spiegazioni: se nel suo attacco l'aggressore fa riferimento a stereotipi o altri luoghi comuni, o in genere le sue argomentazioni sono piuttosto stupide e banali, una buona tecnica è richiedergli costantemente il motivo per cui dice questo o quello, in modo da far emergere chiaramente (meglio se in presenza di altri) la stupidità e la limitatezza del suo comportamento. Per esempio: se il nostro avversario sentenzia "Tutte le donne sono stupide", potremo rispondere "Quante donne conosci, tu, per dire questo?",oppure "Inclusa tua moglie?" o "Allora perché ti sei sposato?". L'importante è continuare sempre allo stesso modo, ponendo domande in conti-nuazione sull'esperienza dell'altro riguardo lo stereotipo, finché non risulta chiara la sua stessa stupidità.
17. La respirazione: fare un bei respiro profondo ci dà la possibilità di rilassarci e di prendere tempo, evitando una risposta affrettata. Questa tecnica può essere utilizzata in combinazione con le altre: di fronte a un attacco non si risponde subito, si respira profondamente e si ha così tutto il tempo per riflettere e pensare quale altra tecnica di autodifesa possiamo utilizzare per rintuzzare l'attacco; in alternativa, possiamo lasciar perdere la provocazione e limitarci a respirare per ritrovare la calma.

26) Si può aiutare una persona che subisce o ha subito mobbing lavorativo?

All'interno di un'azienda, quando una persona diventa vittima di attacchi da parte di qualcun altro, l'intera organizzazione è coinvolta: la paura delle conseguenze paralizza e toglie la capacità di fare, la persona si chiude in sé stessa, si restringono le possibilità di una vita attiva e anche i familiari vengono coinvolti nelle richiesta d'aiuto. In questi casi l'atteggiamento migliore è quello volto all'ascolto, ad aiutare la persona a chiarire momenti e fasi di questa esperienza, senza giudicare. Il sostegno e supporto dei colleghi è fondamentale per uscire dall'isolamento relazionale e dal senso di impotenza che coglie la vittima. L'attacco mobizzante, spesso, è reso possibile anche dalle persone (colleghi, superiori, addetti alla gestione del personale..) che assistono senza intervenire, diventando spettatori passivi delle ingiustizie che vedono. C'è un processo psicologico detto “diffusione della responsabilità” che riduce in un individuo inserito in un gruppo o in un massa il senso della sua coscienza morale, aumentandone l'indifferenza. Per cui persone irreprensibili, davanti ad episodi a rischio, tendono a farsi influenzare dalla reazione della massa non intervenendo, se, invece, soltanto una persona prende l'iniziativa nell'intervento anche il resto del gruppo è più disponibile. Quindi, l'ascolto di sé stessi, delle reazioni che suscita in noi l'episodio di prevaricazione, l'ascolto della vittima e il sostegno nel consigliare una consulenza specialistica presso gli enti e servizi che si occupano della problematica sul territorio. C'è, poi, una forma di aiuto indiretta che riguarda tutti i progetti di prevenzione attuati nei servizi e nelle aziende: per esempio, è fondamentale la formazione promossa a livello aziendale o individuale di operatori e dipendenti per aumentare la consapevolezza ed il grado di riconoscimento del problema, impostare strategie di gestione del conflitto, di comunicazione efficace, assertività e gestione dello stress e costruire una rete d'intervento sul territorio.